Chi ha paura delle quote rosa? Per ogni donna che entra, c'è un uomo che deve lasciare la poltrona. E' la nuda verità che si cela dietro ai detrattori di questo strumento fondamentale per l'attuazione delle pari opportunità. Dopo anni di muro di gomma, anche il nostro paese sembra finalmente pronto per avviare un discorso che i principali paesi europei hanno aperto molti anni fa.
Ecco perchè è importante che il ddl 2482, quello sulla parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati, attualmente in discussione presso la commissione Finanze del Senato, non esca indebolito dal dibattito parlamentare e dai condizionamenti di chi ha tutto l'interesse a lasciare immutato lo status quo.
Come afferma l'articolo 1, il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti.
Uno degli aspetti più interessanti del ddl è che, in base all'articolo 3, tale criterio si applica anche alle società controllate da pubbliche amministrazioni non quotate in mercati regolamentati.
In una fase estremamente delicata per l'evoluzione di questo disegno di legge dal carattere bipartisan abbiamo raccolto la testimonianza della relatrice, Lella Golfo, deputata del Pdl, nonchè numero uno della Fondazione Bellisario, da sempre impegnata per l'affermazione delle donne in ambito politico, istituzionale, scientifico e sociale.
On. Golfo, quali sono i rischi di un annacquamento del ddl 2482, oltre a quelli di un possibile ritardo nella sua applicazione?
Quelli di un forte depotenziamento del provvedimento. Gli emendamenti appena presentati dal Governo stabiliscono una gradualità troppo ampia e meccanismi di sanzione definiti con appositi regolamenti dalla Consob al posto della decadenza del CdA. Il rischio è che per raggiungere un compromesso tra tutti gli attori in gioco si renda il provvedimento troppo blando e dunque inefficace al fine di una reale maggiore partecipazione delle donne nei board delle società quotate e partecipate.
Confindustria, Abi e Ania hanno chiesto al Senato di modificare la legge sulla parità di genere, facendone slittare l'entrata in vigore dopo 2 o 3 rinnovi dei cda. Vorrebbe dire far slittare l'entrata in vigore della normativa di circa anni. Di converso però l’AD di Intesa San Paolo, Corrado Passera, si è detto favorevole. Ciò significa forse che il sistema imprenditoriale italiano non ha ancora sviluppato una posizione comune in tal senso?
Credo che esista la ragionevolezza e il buon senso delle persone e la posizione ufficiale di associazioni che rappresentano più interessi. Certamente il consenso di Passera, come quella di Annamaria Tarantola, hanno dimostrato che il sistema economico non è in toto contrario alla legge e che in una parte consistente di esso prevale la ragionevolezza rispetto a una direzione intrapresa da tutta Europa.
Attestarsi su posizioni conservatrici e non permettere al Paese di fare lo scatto in avanti significa minare la competitività del nostro sistema e dispiace che proprio le grandi associazioni non lo comprendano.
Che tipo di riscontro avete avuto dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia?
La posizione di Emma Marcegaglia è pubblica e nota a tutti: non è pregiudizialmente contraria alle quote ma auspica una maggiore gradualità e sanzioni più blande. Purtroppo così facendo temo che i progressi saranno molto, troppo lenti.
Di tutti i paesi che hanno già da tempo una legge di questo tipo, quale prende come punto di riferimento per l’Italia?
Certamente mi piacerebbe guardare alla Norvegia, dove la legge è in vigore dal 2006 e impone una quota del 40%. Lì in pochi anni si arrivati al 37,9% di donne nei board dei CdA delle società quotate e partecipate. Se pensiamo che nelle società quotate noi siamo fermi al 7,6%, abbiamo la misura del nostro enorme ritardo!
Per questo la mia proposta è più moderata e si adatta a un Paese come il nostro dove i tassi di partecipazione delle donne alla vita politica ed economica sono purtroppo assai più modesti. Da noi il 30% di donne per tre mandati consecutivi rappresenta già una vera e propria rivoluzione che farebbe posto a ben 752 donne nei CdA delle quotate e oltre 3000 nelle partecipate.
Cosa risponde ai detrattori delle quote rosa, che spesso accusano le donne di ricorrere ad espedienti di questo tipo per farsi strada sul lavoro?
Rispondo che le donne rappresentano oltre il 60% dei laureati, oltre il 30% negli Mba e che ci sono 1 milione e 400mila aziende guidate da donne e che se raggiungessimo quel 60% di occupazione femminile previsto da Lisbona il nostro Pil balzerebbe del 7%. Se i talenti al femminile sono così tanti, se le aziende guidate da donne sono quelle che nell’ultimo biennio hanno creato più occupazione e hanno retto di più all’urto della crisi economica, non si tratta di avere un trattamento di riguardo o privilegiarle. Si tratta prima di tutto di mettere in atto quei meccanismi di meritocrazia tanto auspicati da tutti.
E in secondo luogo di utilizzare un serbatoio di competenze e professionalità che può e deve contribuire alla crescita del Paese. Non possiamo pensare di vincere sui mercati internazionali correndo con una gamba sola!
Quote rosa in Parlamento. Perché l’Italia non è pronta ad un intervento normativo?
Non credo che il Paese non sia pronto, ritengo piuttosto che non ci sia la volontà politica per un simile passo. I vertici dei partiti, le segreterie sono in maggioranza maschili e, così come nelle aziende, tendono a conservare lo status quo: per ogni donna che entra, un uomo deve lasciare la poltrona.
Aggiungiamo che le donne, purtroppo, stentano ancora ad attivare meccanismi di lobbying. Ma sono fiduciosa, perché vedo un grande consenso della società civile e certamente il dibattito di questi ultimi mesi scatenato dalla mia proposta di legge è stato più che positivo laddove ha portato a un confronto costruttivo e a una riflessione costruttiva.
Nella sua battaglia personale a favore dell'affermazione delle donne le è capitato di incontrare l'ostruzionismo di altre donne, magari già inserite appieno nel contesto politico o imprenditoriale?
Certamente, una volta arrivate ai vertici, le donne tendono a dimostrare di essere “parte del sistema” e diventa difficile per loro uscire fuori dal coro. Capisco le loro motivazioni e anche gli ostacoli, ma credo sia necessario uno sforzo in più. Mi spiace quando vedo donne affermate “rinnegare” la loro appartenenza al genere femminile e assumere atteggiamenti di emulazione che giudico assai improduttivi.
Una grande lezione e un grande esempio in questo senso è Anna Maria Tarantola. La prima e unica donna ad arrivare così in alto nel nostro sistema economico e finanziario, vicedirettore Generale della Banca d’Italia, si spende tantissimo per la promozione delle professionalità e dei talenti femminili. Ecco, credo che il suo sia l’atteggiamento positivo e da seguire. Mi piacerebbe e auspicherei che più donne ai vertici seguissero l'esempio. Detto questo, sulla mia strada ho incontrato anche tante donne di successo che non hanno esitato a spendersi per aiutare le altre donne nel loro percorso professionale.
A suo avviso qual è la più grande conquista fatta in questi anni dalla Fondazione Bellisario?
Sono tante, a volte mi chiedo dove abbiamo trovato tanta energia e idee! Se dovessi veramente limitarmi a una, penso alle oltre 350 donne che in questi 23 anni abbiamo premiato e al network forte, solido, propositivo e determinato che siamo riuscite a creare. Credo sia questa la conquista più grande perché rappresenta un lascito che nessuno può portarci via ma che è destinato a crescere nel tempo e a dare sempre più frutti. Sono convinta che l’esempio sia il più forte veicolo e il più potente strumento di una cultura di cambiamento.
Quando ero una giovane donna, Marisa Bellisario rappresentava l’esempio che con la volontà, l’impegno e il lavoro duro qualsiasi meta o ambizione poteva essere raggiunta. Ecco, mi piace credere che i talenti al femminile che premiati in questi anni abbiano trasmesso a tante giovani generazioni di donne questo messaggio, per me fondamentale. Poi ci sono le battaglie quotidiane, gli scontri nei palazzi del potere, i tentativi di portare avanti le istanze delle donne e di affermare le loro professionalità e competenze. Ma dietro questo impegno importantissimo che portiamo avanti ogni giorno e che ci ha consentito progressi un tempo impensabili e dietro i singoli successi raggiunti, c’è una lobby di donne solidali e determinate, donne consapevoli delle proprie potenzialità e convinte che insieme riusciremo a costruire il cambiamento.