Molte imprese italiane hanno reagito alla crisi investendo in R&S e internazionalizzazione. Ora, però, servono politiche adatte a sostenerne la crescita.
> Bonus ricerca – i costi ammissibili per prototipi e personale
Il tessuto produttivo uscito dalla crisi è più “innovativo” e moderno di quello presente prima del 2018. E' questo lo scenario emerso dai dati raccolti e analizzati dal centro studi MET e discussi lunedì in occasione di un convegno a Roma, alla presenza del ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno Claudio De Vincenti.
A discutere del rapporto MET, oltre al ministro, il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, il presidente ISTAT Giorgio Alleva, l'ad di Invitalia Domenico Arcuri, Antonella Baldino di Cassa Depositi e Prestiti, il presidente della Camera di Commercio di Roma Lorenzo Tagliavanti, Antonia Carparelli della Rappresentanza in Italia della Commissione europea e Duilio Giammaria, autore e conduttore del programma di approfondimento Petrolio su RAI Uno.
L'indagine MET
I dati microeconomici hanno evidenziato la presenza di profondi mutamenti nella struttura industriale, con un aumento sia della percentuale di imprese che svolge attività di Ricerca e Sviluppo, sia della quota di aziende che esporta i propri prodotti/servizi all’estero, rispetto al periodo pre-crisi.
Le evidenze si basano sulle indagini campionarie MET (5 rilevazioni condotte tra il 2008 e il 2015), attraverso le quali sono state intervistate oltre 120 mila imprese – di tutte le classi dimensionali, microimprese incluse – dell’industria e dei servizi alla produzione.
Segnali di cambiamento
A partire dal 2010/2011 i segnali di cambiamento, almeno con riferimento alla competitività internazionale dell’industria italiana, si sono fatti sempre più evidenti.
Tra il 2010 e il 2016 l’andamento delle esportazioni italiane è stato positivo, non distante da quello registrato dalla Germania e migliore di quello di altri importanti partner europei (Francia, Regno Unito, Olanda, per citare i principali).