Il PNRR per investire nella ricerca. Intervista a Ferruccio Resta, presidente CRUI

|Novità|07 luglio 2022

Ferruccui Resta presidente CRUIMigliorare le infrastrutture e l’ecosistema della ricerca, rendere i salari dei ricercatori più competitivi e utilizzare i fondi del PNRR per pianificare l’Italia post-2026. Sono alcune delle proposte di Ferruccio Resta, presidente della CRUI, per accrescere l’attrattività del nostro paese come destinazione di ricerca.

Ricerca: come il PNRR semplifica l'assegnazione dei fondi  

Ne abbiamo parlato in questa intervista partendo dagli esiti delle call dello European Research Council (ERC) fino ad arrivare ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) per le attività di ricerca.

Guardando i risultati dei bandi dello European Research Council spesso l'Italia è ai primi posti per il numero di borse vinte da ricercatori italiani, ma non è tra le mete preferite per fare ricerca. Perché? Quali sono le cause di questa discrepanza?

Ci sono diversi temi su cui riflettere. In primis, la qualità della ricerca italiana, che è ottima ed allineata ai migliori standard internazionali. Questo è indiscutibile, ma di per sé non sufficiente.

L’argomento sul quale invece dobbiamo lavorare di più riguarda l’attrattività, ovvero come rendere le nostre università e i nostri centri di ricerca un punto di arrivo e non di partenza.

Cosa vuol dire oggi essere una ‘meta preferita per fare ricerca’?

Nel rispondere a questa domanda dobbiamo prendere in considerazione due aspetti importanti: da un lato le università e gli enti di ricerca devono potenziare le proprie infrastrutture e costruire un contesto sempre più internazionale per attrarre i ricercatori.

Dall’altro lato c’è l’ecosistema in cui si inseriscono le attività di ricerca, che dovrebbe puntare su città e territori accoglienti, pronti a rispondere ai bisogni dei ricercatori internazionali con servizi adeguati e snellendo molta della burocrazia che ci caratterizza.

Per frenare la fuga di cervelli all'estero e incentivare la ricerca in Italia ci sono diversi strumenti, dal programma Rita Levi Montalcini alle misure previste dal PNRR. Sono iniziative valide? Cosa si potrebbe fare di più?

Il programma Rita Levi Montalcini è molto valido, come testimoniano l’elevato numero di domande e il tasso di successo del 10-15%. Per quanto riguarda il PNRR, invece, l’Italia sta attivando tutta una serie di misure per richiamare i ricercatori.

Quello di cui abbiamo bisogno nel nostro paese è essere competitivi con i salari, prevedendo la possibilità di negoziare i salari dei ricercatori, che l’università può coprire in base alla disponibilità di fondi, sia pubblici che privati.

In un'ottica di lungo termine, come dovrebbe essere la strategia italiana per la ricerca e su cosa dovrebbero concentrarsi gli investimenti pubblici?

Dobbiamo ricordarci che la ricerca è molto più ampia del perimetro nazionale e deve essere allineata con le strategie di ricerca europee.

Ci sono grandi tematiche - come lo spazio, l’energia, il digitale, la sostenibilità ambientale e le scienze della vita - che vanno al di là della dimensione locale della singola università o del dipartimento di ricerca.

Inoltre, l’Italia deve presidiare alcune tecnologie emergenti - come il calcolo ad alte prestazioni, l’intelligenza artificiale, le quantum technologies, ecc - ed essere in grado di differenziare e non uniformare, valorizzando i punti di forza di atenei, imprese, territori ed enti di ricerca, invece di chiedere a tutti di fare tutto.

A maggio si è chiuso il bando PNRR per partenariati estesi tra università e aziende, un'opportunità importante per rafforzare le filiere della ricerca in Italia. Cosa ne pensa e cos'altro si potrebbe fare per incentivare la collaborazione tra mondo della ricerca e sistema produttivo?

Con i bandi per i partenariati estesi e i campioni nazionali, il MUR ha lanciato un segnale fortissimo, chiedendo ad atenei ed enti di ricerca di coinvolgere i soggetti privati nei progetti in un’ottica di filiera.

Per favorire la collaborazione tra accademia e industria, occorre che l’università si apra sempre di più alle esigenze delle imprese, mentre le aziende devono imparare a guardare maggiormente sul lungo termine sia in termini di ricerca che di alta formazione.

Il quadro delle misure del Recovery plan è positivo, ma è importante tenere a mente un pensiero: il PNRR non è un obiettivo, ma uno strumento per disegnare cosa succederà nel nostro paese dopo il 2026.

Di conseguenza è fondamentale che queste iniziative si occupino di investimenti (in capitale umano, infrastrutture di ricerca, startup, ecc) e non di funzionamento.

Le strutture che progressivamente stanno nascendo - come i cinque centri nazionali per la ricerca - devono sopravvivere dopo il 2026, garantendo una sostenibilità economica senza le risorse del PNRR. Non sono uno strumento per potenziare l’offerta di innovazione, ma per stimolare la crescita della domanda di innovazione.