Il 60% dell'Italia sta sprofondando in un mare di abbandono. Si tratta delle aree interne, territori al margine non solo per la posizione geografica, ma anche perchè escluse dalle attività politiche ed economiche, spiega Rossella Moscarelli in un articolo della rivista “Gli Stati Uniti d'Europa”, qui ripreso per gentile concessione.
Nel settembre 2015 la copertina di un noto settimanale di attualità italiana mostra una nuova mappa d’Italia. Una penisola senza la punta dello stivale, che finisce con il Lazio e il Molise, in cui il Sud e le Isole sono sprofondate nel Mediterraneo. Un mondo separato dal resto dell’Italia, sparito dalle mappe dell’economia e della politica.
Si potrebbe in realtà disegnare un’altra mappa dell’Italia che sta scomparendo, tanto al Sud quando al Centro e al Nord. È la mappa delle cosiddette ‘aree interne’, di quei territori al margine delle principali attività del Paese, economiche, politiche e sociali. Sono quei luoghi che, dalle Alpi a tutto l’arco degli Appennini, dalle isole, alle aree più marginali e depresse della Pianura Padana, per abbandoni e spopolamento, stanno affondando. L’Italia sta diventando in fondo un arcipelago di isole collegate tra loro da reti ad alta velocità che bypassano tutto ciò che c’è nel mezzo: c’è l’asse di Torino, Milano, Bologna e Venezia, la costa adriatica fino al Gargano, l’area romana e quella napoletana, e poco o niente rimane di Basilicata, Calabria o Sardegna.
Nel 2014, l’Unità di valutazione degli investimenti pubblici, UVAL, all’interno del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica, elabora la Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI). Torna alla luce il famoso termine ‘aree interne’ coniato da Rossi Doria nel 1958.
> CIPE – finanziamenti per la Strategia aree interne
Doria definiva così i territori agricoli del Mezzogiorno poveri di riserve idriche, l’osso del Sud, per cui le risorse erano scarse o non più sufficienti a soddisfare le necessità della popolazione in crescita.