Al Consiglio europeo convocato nell’ora più drammatica, i leader dei Ventisette tornano a dividersi. Dopo ore di discussioni accese e un duro intervento di Conte, i leader trovano un accordo che consiste nel rimandare la decisione di ben due settimane. Un’analisi delle proposte sul tavolo: cosa sono i coronabond e perché è stata scartata l’ipotesi MES.
> Fondi europei in campo per fronteggiare l'emergenza coronavirus
Mentre il Parlamento europeo votava, con procedure straordinarie e d’urgenza, lo stanziamento di 37 miliardi per aiutare i Paesi UE a fronteggiare l’emergenza coronavirus, al Consiglio europeo si accendeva la discussione tra i leader.
Una discussione in teleconferenza durata ben sei ore, culminata in un duro attacco del premier Giuseppe Conte contro le strategie adottate da alcuni Paesi in un momento drammatico.
Due fronti contrapposti
E’ una scena che si ripete ormai quasi ad ogni riunione del Consiglio europeo: da un lato un gruppo di Paesi, soprattutto del Sud, che chiede un’Europa più flessibile; dall’altro i cosiddetti rigoristi, i Paesi del Nord, che si mostrano scettici di fronte all’ipotesi di una condivisione dei rischi.
Quel che non ci si aspettava era che tale scena si ripetesse anche nell’ora più drammatica. Nel caso specifico, da un lato c'è chi proponeva il ricorso a un meccanismo di condivisione del debito, i cosiddetti coronabond; dall'altro, chi proponeva di utilizzare il meccanismo esistente, il MES.
> Per il decreto aprile si punta sui fondi europei non spesi, ma è indispensabile l'aiuto europeo
Cosa sono i Coronabond
La richiesta avanzata dal gruppo di Paesi - Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio, Lussemburgo - consiste nell'attivazione di tutti i comuni strumenti fiscali a sostegno degli sforzi nazionali e a garanzia della solidarietà finanziaria, specialmente nell'Eurozona.
In particolare, si punta su uno strumento di debito comune emesso da un’Istituzione UE per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati dalla pandemia.
La chiave di volta sarebbero quindi i cosiddetti coronabond, un meccanismo solidale di distribuzione dei debiti tra gli Stati dell’eurozona attraverso la creazione di obbligazioni del debito pubblico dei Paesi stessi.
Meccanismo che ancora non esiste, ma che viene proposto da quasi dieci anni: tra il 2011 e il 2012, infatti, in piena crisi economica della zona euro, si era affacciata l’ipotesi di creare uno strumento finanziario comune, i cosiddetti eurobond.
Uno strumento di questo tipo permetterebbe a uno Stato di chiedere soldi in prestito per poter finanziare le proprie opere - da quelle tradizionali (infrastrutture, sanità…) a quelle straordinarie, come nel caso dell’emergenza che stiamo affrontando - spartendo il debito tra tutti gli Stati membri.
Secondo gli esperti, i titoli comuni della zona euro per finanziare gli interventi per fronteggiare l’emergenza coronavirus dovrebbero essere emessi a tassi molto bassi dal Fondo salva-Stati. Idea condivisa anche dal commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni che a proposito dei coronabond ha spiegato che “devono essere lanciati da istituzioni di mercato”.
L’ipotesi non piace ai rigoristi, i Paesi più virtuosi, come la Germania, che ai coronabond preferisce il MES “strumento che è stato fatto per le crisi”.
Contraria anche l’Olanda di Mark Rutte: “Molti altri Paesi lo sono, perché porterebbe l’eurozona in un altro territorio, sarebbe come attraversare il Rubicone. L’Eurozona ha creato i suoi strumenti, come il Mes, che può essere usato in modo efficace, ma con le condizionalità previste dai trattati. Non posso prevedere alcuna circostanza in cui l’Olanda possa accettare gli eurobond”.
> Coronavirus Response Investment Initivative: cos'è, cosa prevede
MES: cos’è e perchè non piace all'Italia?
L’altra ipotesi sul tavolo consiste nell’impiego del Meccanismo europeo di stabilità, il MES, la cui riforma aveva tenuto banco nel dibattito politico tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020.
Ad essere messo in discussione da un gruppo di Paesi, tra cui l’Italia, non è il MES di per sé, ma sono le condizioni da rispettare nel caso in cui un Paese dovesse attivarlo.
Condizioni rigorose che imporrebbero allo Stato di mettersi presto in carreggiata, e che difficilmente i Paesi maggiormente colpiti dall’epidemia e dalle sue conseguenze economiche sarebbero in grado di rispettare.
La critica dell'Italia e di altri Stati (più o meno gli stessi che puntano sui coronabond) è che non può valere la stessa "condizionalità" prevista per le crisi finanziarie classiche - vedi il caso Grecia - trattandosi di una situazione eccezionale e senza precedenti.
Sul tema nei giorni scorsi l’Eurogruppo non è riuscito a trovare il consenso generale. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, aveva già sottolineato la necessità di una rimozione totale delle condizioni affinché gli Stati potessero beneficiare della potenza di fuoco da 410 miliardi del MES.
Nel corso del Consiglio europeo Conte ha rincarato la dose: “Se qualcuno dovesse pensare a meccanismi di protezione personalizzati elaborati in passato” (quindi, le linee di credito del MES, ndr), “allora non disturbatevi, ve lo potete tenere, perché l’Italia non ne ha bisogno”.
Secondo fonti di Palazzo Chigi, Conte ha escluso la possibilità che per affrontare l’emergenza coronavirus si possa usare lo strumento utilizzato per i prestiti alla Grecia durante la sua crisi del debito: “Come si può pensare che siano adeguati a questo shock simmetrico strumenti elaborati in passato, costruiti per intervenire in caso di shock asimmetrici e tensioni finanziarie riguardanti singoli Paesi?”.
La soluzione trovata al Consiglio europeo: un rinvio di due settimane
Con il premier spagnolo Pedro Sanchez, Conte chiedeva ai presidenti di Commissione, Consiglio, Parlamento, BCE ed Eurogruppo di elaborare entro 10 giorni una soluzione da proporre ai Capi di Stato e di Governo.
Nelle conclusioni del Vertice di sei ore non ci sono riferimenti all’uso del Meccanismo europeo di stabilità - che erano presenti nel documento preparatorio inviato dai ministri delle Finanze, ma non si parla nemmeno di coronabond.
La soluzione di compromesso trovata prevede che la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, presentino entro due settimane proposte di lungo periodo.
“Siamo pronti a fare tutto quel che serve” per fronteggiare l’impatto economico dell’epidemia, ha detto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel durante la conferenza stampa insieme a Ursula von der Leyen, iniziata dopo le 22. Ma “dobbiamo continuare i nostri sforzi con l’Eurogruppo”.
La dura replica di Sassoli: la somma dei Governi nazionali non è l'Europa
“Ci saremmo aspettati una più forte assunzione di responsabilità dai leader. Ora abbiamo due settimane di tempo per lavorare, sperando che si sciolgano le riserve e vengano date risposte”.
Questo è il primo commento del presidente del Parlamento europeo David Sassoli alle conclusioni del Consiglio europeo, rilasciato durante la partecipazione alla rubrica “Los Desayunos” del canale UNO di RTVE, in collegamento da Bruxelles.
“Ci sono le istituzioni europee che stanno combattendo per difendere i nostri cittadini, le nostre vite e la nostra democrazia - ha continuato Sassoli - nessuno può uscire da solo da questa emergenza. Per questo la miopia e l’egoismo di alcuni governi va contrastata. Voglio essere molto chiaro: I governi nazionali non sono l’Europa”.
“Abbiamo bisogno che i nostri paesi spendano tutto quello che debbono spendere. Per fare questo serve uno strumento comune per garantire il debito. Deve crescere rapidamente tra i nostri governi la coscienza che l’Europa non uscirà da questa crisi come è entrata. C’è ancora una consapevolezza troppo bassa di questo. Le Istituzioni europee lo hanno capito. E’ ora che lo capiscano anche i governi” ha concluso il Presidente dell’Europarlamento.