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Murdoch inaugura l'era del Pay per Read

|Novità
11 agosto 2009
Rupert Murdoch by ZilL’era dell’Internet gratuito è sul viale del tramonto. Una rivoluzione che non riguarda soltanto i contenuti specializzati, come quelli economici o scientifici, ma anche quelli generalisti. Lo shock è più forte perché da quando esiste la rete siamo abituati a fruire liberamente dei contenuti e dei servizi proposti on line.

Le cose stanno cambiando già da qualche tempo, ma la scelta di Rupert Murdoch di far pagare l’accesso alle testate giornalistiche telematiche attraverso forme di micropagamento ha riacceso immediatamente il dibattito sul futuro dell’editoria, in particolare quella multimediale. Nella crisi mondiale in cui versano tutti i settori economici, non ultimo l’editoria, il nome del tycoon austrialiano riecheggiava come un baluardo, l’unico capace di destreggiarsi nel risiko editoriale senza generare perdite. Mentre tutti erano in rosso, Murdoch sembrava l’unico a resistere e persino a mettere il cappello sui quotidiani che hanno fatto la storia del giornalismo americano, primo fra tutti il Wall Street Journal. E difatti l’impero di News Corporation è uno dei pochi a non chiudere i battenti.

Le decisioni di Murdoch si sono caratterizzate da un lato per l'innegabile lungimiranza, dall’altro per la capacità di diversificare la proposta editoriale. Non solo tivvù, non solo cinema, non solo carta stampata, non solo Internet. Ma non c’è politica aziendale che tenga di fronte alla débacle internazionale. Murdoch ha ammesso perdite per 3,4 miliardi di dollari negli ultimi dodici mesi. ''E' stato il periodo più difficile della storia recente. Intendiamo far pagare l'accesso a tutti i nostri siti di news. Credo che se avremo successo, altre testate ci seguiranno'', ha dichiarato Murdoch. La nuova strategia sarà inaugurata dal popolare quotidiano britannico Sunday Times.

Lo scenario che si profila all’orizzonte della rete è bifronte. Da un lato assiteremo ad una spietata selezione darwiniana delle testate giornalistiche a pagamento, una scelta decretata interamente dal giudizio di un pubblico sempre più esigente, disposto a pagare, anche profumatamente, per contenuti sempre più verticali, specialistici e accattivanti, che non possono essere giudicati con criteri oggettivi, ma rispondono alle esigenze e ai consumi di diversi strati sociali e culturali. Dall’altro Internet continuerà a dare sfogo al giornalismo controcorrente dei blog e alle cronache di twitter, alle relazioni di facebook e ai video di Youtube e dei suoi epigoni. Tutto rigorosamente gratis. Così come gratis (o quasi) resteranno i canali televisivi generalisti, da Mamma Rai a Mediaset.

Se quindi la scelta di Murdoch non stupisce, può sorprendere il contrario. Viene da chiedersi perché non ci abbia pensato prima. La massa critica di Internet si è consolidata da molto tempo e non vi è ragione per credere che i contenuti, soprattutto quelli più interessanti e ben confezionati, debbano essere gratuiti. E’ come se fossimo abituati per anni a mangiare gratuitamente al ristorante e poi di colpo, un giorno, alla fine del pasto, il padrone venisse a portarci il conto. La nostra reazione sarebbe di certo negativa. La questione è che desideriamo pagare soltanto se il pranzo è di nostro gradimento, ma non siamo disposti a sganciare un centesimo per contenuti generalisti o  per opinioni raffazzonate.

Quando alla fine degli anni Novanta, la pubblicità su Internet  - che viaggia con modalità diverse rispetto alla televisione e alla carta stampata - è entrata in crisi, il mondo dell’editoria si è a lungo interrogato su quali potessero essere le modalità di finanziamento della rete.  Ma mentre il mondo dell’editoria indugiava in quella riflessione, molti – soprattutto i più piccoli -  avevano già chiuso i battenti o si erano fusi con i più grandi per non morire. Migliaia di portali si sono spenti da un giorno all’altro perché non potevano più permettersi di esistere. Una sorte che presto toccherà anche alla carta stampata.

Resta inoltre da capire quale possa essere il futuro della professione giornalistica, che vive più di altri mestieri un momento di profonda riflessione e ripensamento, prima di tutto sul piano etico. Se nella tivvù generalista e nei “siti carrozzone” disvalori come la mediocrità e  il nepotismo potevano avere la meglio, il futuro delle news a pagamento si profila molto più duro per i “soliti ignoti”.

Di certo non assisteremo alla “morte” dei media, prima fra tutti la carta stampata o il libro, come molte cassandre erroneamente profetizzavano.
(Alessandra Flora)

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